17 Mar Quale sensore per la fotografia dentale? Prima parte
Meglio uno smartphone oppure una fotocamera? E tra le fotocamere è meglio un formato full frame oppure un APS-C . . . o meglio ancora un micro quattro terzi?
Questo è un articolo per Adulti - Parliamo di sensori e proviamo, dati alla mano, a fare chiarezza esaminando gli aspetti tecnico-qualitativi influenzati dal formato del sensore.
Quale sensore è meglio utilizzare nella fotografia dentale?
APS-C, 35mm, micro Quattroterzi. Oppure formati inferiori, “da compatta” o smartphone (tantissimi). O, al contrario, formati superiori al 35mm, i cosiddetti “medio formato”. Quale formato di sensore è il miglior compromesso in ambito dentale? Proviamo a fare chiarezza esaminando gli aspetti tecnico-qualitativi influenzati dal formato del sensore.
Un dibattito oggi molto acceso nel mondo della fotografia dentale riguarda il formato del sensore. Qual è la scelta migliore? All’interno di forum e siti specializzati si possono trovare le opinioni più disparate: c’è chi assicura che l’APS-C sia il formato perfetto, chi propone sistemi micro Quattroterzi (MQT), chi fotocamere compatte, chi è invece attratto dal 35mm.
Chiariamolo subito: ogni posizione è legittima, perché in effetti non esiste la soluzione perfetta. Tutti gli attori sono a buona ragione concordi nell’affermare che al crescere del formato del sensore cresca la qualità complessiva dell’immagine, ma crescano anche costi e ingombri. Qualcuno arriva a considerare la maggior difficoltà operativa legata all’uso dei grandi formati, imputabile principalmente a un preciso aspetto (profondità di campo) di cui ci occuperemo in dettaglio tra poco.
Con questo articolo vogliamo fare un po’ di chiarezza esaminando gli aspetti tecnici oggettivi legati al formato del sensore, e la loro importanza nell’ambito della fotografia dentale. Prenderemo in esame 4 formati diffusi: MQT, APS-C, 35mm (full frame), e 44x33mm, il “medio formato abbordabile” oggi utilizzato anche da alcune mirrorless. Non prenderemo viceversa in considerazione le fotocamere compatte, dati i limiti intrinseci ed eccessivamente penalizzanti della soluzione a ottica non intercambiabile.
Per quanto detto poco sopra, non tireremo le somme, indicando un formato specifico. In fondo a quest’articolo, non troverete cioè la classica conclusione: “il vincitore è…”. Questo è un articolo per adulti – date le informazioni, ognuno dovrà trarre le proprie conclusioni. Vogliamo però contestare alcuni luoghi comuni, spesso figli di valutazioni di parte che, nel calderone di informazioni non verificate assumono inspiegabilmente il ruolo di verità assolute. Un esempio?!? Il full frame non sarebbe – chissà perché – adatto alla fotografia dentale…
Il formato di sensore
Riassumiamo di seguito il concetto probabilmente già noto di formato di sensore, richiamando le nozioni più utili ai nostri scopi.
Il sensore digitale lascia grande libertà ai costruttori nella scelta del formato. Negli anni, sono stati quindi proposti e utilizzati molti formati diversi, il più noto dei quali è certamente il 35mm, analogo all’omonima pellicola, a cui ci si riferisce comunemente come full frame. Altri formati molto diffusi e di particolare interesse per la fotografia odontoiatrica sono l’APS-C e il micro Quattroterzi, o MQT. Esistono diversi altri formati inferiori al 35mm (APS-X, 1″, 2/3″, 1/1.7″…), i più piccoli dei quali oggi largamente utilizzati all’interno degli smartphone, ed esistono ovviamente anche formati superiori al 35mm, tra cui il 44x33mmche prenderemo in considerazione.
Perché è importante conoscere il formato del sensore? Per diversi motivi, in effetti, a cominciare dal cosiddetto fattore di crop, o di ritaglio. In sintesi, la diagonale del sensore corrisponde alla cosiddetta lunghezza focale normale, o standard, cioè la focale attraverso cui si osserva come a occhio nudo. Al di sopra della focale standard si trovano i cosiddetti teleobiettivi, che restringono l’inquadratura (angolo di campo) ingrandendo il soggetto, mentre al di sotto si trovano i grandangolari, che al contrario espandono l’angolo di campo rimpicciolendo il soggetto.
Nel caso del formato 35mm, la diagonale – dunque la focale normale – è circa 43mm, per semplicità universalmente approssimata a 50mm. Per il formato APS-C, tale diagonale è circa 1,5 volte inferiore, per il MQT è 2 volte inferiore. Ciò significa che tutto è spostato verso i teleobiettivi del corrispondente fattore di crop. Ad esempio, montando un 100mm su una APS-C, questo si comporterà come un 150mm, montandolo su una MQT si comporterà come un 200mm.
Dato che a parità di distanza di ripresa esiste una relazione lineare tra lunghezza focale e ingrandimento del soggetto, il fattore di crop è anche connesso all’ingrandimento del soggetto. Ad esempio, se il soggetto X, fotografato con una fotocamera 35mm equipaggiata con obiettivo da 100mm occupasse il 10% del fotogramma, lo stesso soggetto ripreso alla stessa distanza con un 200mm ne occuperebbe il 20%, così come ne occuperebbe il 20% se ripreso con un obiettivo da 100mm montato su una fotocamera MQT, che per quanto detto poco sopra equivale a 200mm.
Immagine realizzata con una fotocamera Reflex e sensore full frame. Diaframma mediamente aperto f/16 ISO 200
Particolare di un ingrandimento, al 75% circa, dell’immagine precedente. Nonostante la fotocamera sia stata prodotta nel 2012 il risultato è molto interessante.
Il formato del sensore, unito alla sua risoluzione, determina anche la dimensione dei singoli fotorecettori che andranno a comporre i pixel dell’immagine (nel seguito, per semplicità, pixel). La dimensione dei pixel influenza a sua volta diversi parametri connessi alla qualità d’immagine, di cui ci occuperemo tra poco: rapporto segnale/rumore, gamma dinamica, limite di diffrazione.
Il vantaggio dei piccoli formati
Posto che, come già anticipato, un sensore più grande porta generalmente a una maggior qualità, i formati minori hanno i loro vantaggi. Innanzitutto, hanno costi generalmente inferiori, anche se esistono delle sovrapposizioni per cui una top di gamma APS-C o MQT può costare quanto o più di una 35mm entry-level.
In seconda battuta, i sistemi fotografici basati su sensori di formato ridotto sono generalmente più compatti, anche in questo caso con i dovuti distinguo ed eccezioni. Importante notare che la maggior compattezza dei sistemai di piccolo formato non deriva tanto dal corpo macchina, ovviamente anch’esso più compatto ma non drasticamente più compatto, quanto dalle ottiche che, per il fattore di crop, possono essere di focale inferiore – ad esempio, un 300mm su una 35mm equivale a un 200mm su una APS-C.
Detto questo, si tratta di valutare quanto il vantaggio oggettivo si traduca in reale beneficio per l’utente. Consideriamo ad esempio il confronto tra un’auto sportiva e un’utilitaria, in cui il vantaggio oggettivo per la sportiva è dato dalla maggior velocità massima. È evidente come, in caso di competizione su circuito, tale vantaggio si tradurrebbe in un beneficio enorme, mentre in caso di spostamento urbano all’ora di punta, il beneficio sarebbe pressoché nullo.
Facciamo allora qualche esempio legato al mondo della fotografia odontoiatrica, in cui la focale più utile (rapportata al formato 35mm) è nell’intorno dei 100mm.
Una reflex 35mm di fascia media come la EOS 6D Mark II costa, al momento in cui scriviamo, circa 1500 Euro di listino e pesa 765g. Una APS-C, sempre di fascia media come la EOS 90D, costa di listino circa 1350 Euro e pesa circa 700g. Consideriamo come ottica per la 35mm l’EF 100mm f/2.8 Macro USM, mentre per la APS-C, la focale più prossima ai 100mm equivalenti è data dall’EF-S 60mm f/2.8 Macro USM. Come si può vedere in tabella 2, il sistema APS-C è in vantaggio sulla 35mm di pari fascia, ma con queste focali in gioco la differenza non è enorme. Molto diverso sarebbe il risultato se la focale di intesse fosse 500mm!
Naturalmente, è anche possibile puntare a un sistema 35mm di livello professionale, dato in casa Canon dalla reflex EOS 5D Mark IV corredata con EF 100mm f/2.8L Macro IS USM; in questo caso, il prezzo sale sensibilmente, così come il peso, ma anche la funzionalità complessiva del sistema è di tutt’altro livello.
Risultati analoghi valgono per tutti i costruttori per i quali sia possibile fare un confronto diretto tra più formati. In Casa Nikon, ad esempio, la reflex di fascia media può essere la oggi la D750, corpo peraltro dalle eccellenti doti in rapporto al prezzo, il modello professionale è senza dubbio la D850, mentre la APS-C può essere la D7500, da corredare con obiettivo AF-S VR Micro-Nikkor 105mm f/2.8G IF-ED o AF-S VR Micro-Nikkor 60mm f/2.8G ED.
Per il formato MQT, è ragionevole considerare una fotocamera come la Panasonic GH5, top di gamma di questo costruttore nel segmento MQT (e modello più direttamente confrontabile con le reflex sopra citate) oppure la più economica G9 – esistono modelli ancora più economici, ma in quel caso il divario funzionale con le reflex sarebbe molto elevato. Anche in questo caso, riassumiamo in tabella pesi e dimensioni dei corpi macchina uniti all’obiettivo macro di riferimento per il sistema in esame. Di nuovo, è possibile notare come il vantaggio in termini di leggerezza del corpo macchina sia piuttosto relativo rispetto alla 35mm di fascia media; grande differenza invece tra le ottiche: la MQT, con focale dimezzata, pesa meno della metà della full frame ma, date le corte focali in gioco, la differenza assoluta è contenuta poche centinaia di grammi.
Andare oltre il formato 35mm richiede viceversa investimenti decisamente superiori, ma con prezzi in discesa e disponibilità crescente di modelli mirrorless compatti e accattivanti, di cui la Hasselblad X1D II 50C è un esempio perfetto (anche se non l’unico possibile). Ipotizzare una loro diffusione di massa è certamente prematuro ma, a differenza dei sistemi medio formato iper-professionali 53x44mm, il formato 44×33 inizia a essere abbordabile per il professionista intenzionato a dedicare alla fotografia un ruolo da protagonista.
Tornando alle reflex, il vantaggio del formato APS-C sul 35mm si assottiglia ulteriormente qualora si decida di utilizzare un’ottica 35mm su una APS-C, operazione sempre possibile. La domanda può sorgere spontanea: perché utilizzare un’ottica più ingombrante e costosa del necessario?!? La risposta è sempre, principalmente, la qualità.
Un’ottica progettata per il formato 35mm copre un’area più ampia, e quando utilizzata con un più piccolo sensore APS-C, viene sfruttata solo la sua parte centrale, che è sempre la più nitida e scevra da difetti. Un po’ come mangiare solo il centro della torta, per così dire.
A parte questa considerazione, valida per qualunque obiettivo, c’è poi da considerare che le ottiche 35mm sono spesso progettate per essere qualitativamente più performanti delle equivalenti APS-C. Restando in casa Canon, il già citato 100 Macro Serie L è ad esempio un obiettivo tecnicamente superiore alla controparte APS-C, in effetti tra i più nitidi del catalogo di quel costruttore. Qualcuno può quindi, giustamente, decidere di adottare questo specifico obiettivo anche su reflex APS-C in virtù della sua qualità.
APS-C, 35mm e profondità di campo
Un vantaggio dei piccoli formati nella fotografia dentale è dato dalla maggior profondità di campo (cioè la maggior estensione di zona a fuoco entro l’immagine) che questi sensori garantiscono a parità di inquadratura e diaframma rispetto ai fratelli maggiori.
La ragione di tale comportamento può essere facilmente compresa considerando che, passando da un piccolo formato a un formato maggiore si riduce il fattore di crop, che ai nostri fini attuali è più utile chiamare fattore di ingrandimento. Di conseguenza, per ottenere la stessa inquadratura sarà necessario avvicinarsi al soggetto o incrementare la lunghezza focale, due operazioni che riducono la profondità di campo.
Più in dettaglio, e per trattare la relazione tra lunghezza focale e profondità di campo in modo esaustivo, è utile sapere che, ai fini della profondità di campo garantita dall’obiettivo a parità di diaframma, il fattore predominante è il rapporto di ingrandimento. In particolare, la profondità di campo si riduce all’aumentare dell’ingrandimento.
Ecco perché la profondità di campo si riduce avvicinandosi al soggetto a parità di ottica, oppure utilizzando una focale più lunga a parità di distanza dal soggetto – in entrambi i casi, aumenta l’ingrandimento.
Interessante notare, come nota a margine, che la convinzione diffusa secondo cui i teleobiettivi riducano in generale la profondità di campo è falsa. I teleobiettivi riducono la profondità di campo solo a parità di distanza dal soggetto, mentre a parità di inquadratura (quindi di ingrandimento), scenario decisamente più comune in fotografia dentale, qualsiasi focale assicura (quasi) la stessa profondità di campo.
Diamo qualche numero applicato al nostro settore per comprendere meglio il quadro complessivo. I dati seguenti possono essere facilmente verificati utilizzando uno dei numerosi calcolatori di profondità di campo disponibili in rete o tramite App; chi fosse interessato, può effettuare una ricerca con DOF (Depth Of Field) Calculator.
Lo scenario considerato sarà quello di una focale di 100mm (equivalente 35mm), di una distanza di messa a fuoco tale da inquadrare la bocca del paziente a pieno fotogramma, e di un diaframma molto chiuso per massimizzare la profondità di campo. Per il formato APS-C, che può montare ottiche 35mm, simuleremo entrambi gli approcci possibili: mantenere la focale 35mm, aumentando la distanza dal soggetto, e ridurre la focale, sceglieremo la più prossima ai 100mm equivalenti disponibile sul mercato.
Per quanto riguarda la distanza di messa a fuoco considereremo 40cm che, in base alla nostra esperienza, garantiscono la corretta inquadratura con una reflex 35mm equipaggiata con obiettivo 100mm macro.
Quando desideriamo evidenziare un particolare del nostro soggetto possiamo lavorare ad un diaframma intermedio, ad esempio un f/11. Otterremo così un’elevata qualità del dettaglio e una sfocatura selettiva delle areee che non vogliamo evidenziare nell’immagine.
Qualora si necessario ottenere un’ampia profondità di campo potremmo chiudere il diaframma intorno a f/20 – f/22.
Se il soggetto deve essere ripreso con un profilo laterale, come in questa immagine di esempio, possiamo lavorare ad un diaframma mediamente chiuso. In un caso come questo è sufficiente lavorare con un diaframma f/11 – f/16.
I risultati sono riportati in tabella 5, e la profondità di campo totale è da confrontare con i circa 5cm di profondità della bocca media. Come si può vedere, a parità di diaframma, rimpicciolendo il formato del sensore la profondità di campo aumenta progressivamente.
A questo punto, è forse utile chiarire meglio cosa si intende per profondità di campo, che abbiamo definito come l’intervallo di distanze entro cui il soggetto appare nitido (a fuoco). In effetti, a rigore, la messa a fuoco può essere effettuata solo a una precisa distanza, e tutto ciò che non è a quella esatta distanza risulta sfocato (ovviamente, tanto più sfocato quanto più ci si allontana dalla distanza di messa a fuoco).
Il concetto di profondità di campo, nato dalla considerazione secondo cui, entro certi limiti, l’occhio umano non percepisce la sfocatura, fissa convenzionalmente dei valori di riferimento (cioè un intervallo di distanze) entro cui il soggetto appare ragionevolmente nitido, ma non deve essere inteso come un limite netto. La sfocatura, quindi la perdita di nitidezza, è progressiva! In altri termini: se la profondità di campo totale è pari a 100cm, non è assolutamente vero che a 99cm si ottiene un’immagine perfetta e a 101cm un’immagine completamente sfocata – in effetti, tra 99 e 101cm cambia pochissimo…
Per fare fotografia dentale, oltretutto, non è obbligatorio avere a fuoco dall’incisivo all’ultimo molare – in ogni immagine c’è un soggetto principale. Non è quindi necessario lavorare con una profondità di campo minima di 5 centimetri. Certo, una maggiore profondità di campo aiuta, assicurando al fotografo più ampi margini di errore nella messa a fuoco. La scelta si riduce quindi a una semplice domanda: meglio la via più facile o quella che porta al risultato migliore?!?
Per inciso, le difficoltà di messa a fuoco sperimentate dai principianti sono normalmente figlie di una tecnica non perfetta e/o di una non adeguata conoscenza della propria attrezzatura, due “problemi” a cui qualsiasi fotografo degno di questo nome saprebbe porre rimedio in 15 minuti.
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